Critica

HANNO SCRITTO DI LUI

 

<<Non c’è essere vivente nelle tele di Silvio Zago, non c’è allegria, non c’è vita, eppure le immagini delle tele non sono opprimenti, non danno angoscia.

Vien da pensare che il pittore – stavo per dire il poeta – abbia voluto imprigionare le visioni a lui più care per riportarle alla luce solo dopo che da esse fossero scomparse le ultime tracce della presenza di una vita attiva; ed ecco apparire allora acque stagnanti, imbarcazioni abbandonate, case fatiscenti, cespugli e canneti.

Non vedo alcun catastrofismo in questi “suggestivi paesaggi  dell’anima”.. non ci sono conflitti, forse perché non ci sono mai stati o forse perché sono finiti da tempo immemorabile, ma non importa: dalle sue tele  promana un senso di rassegnazione e, direi quasi, di serenità e pace interiore.

Perché, a guardare bene (più da vicino o più da lontano è lo stesso) si riesce ad intravedere qualche forma umana, mai ben delineata, quasi che, per un incomprensibile sortilegio, essa si fosse trasformata in ectoplasmi.

Ecco: la pittura di Zago esprime il tentativo di fermare nel tempo i paesaggi consueti amati, visti da bambino, sempre depurati di ogni presenza vitale. Luci ed ombre che si cristallizzano in paesaggi suggestivi, forse sconosciuti, forse dimenticati. Come se una fitta nebbia continuasse ad imprigionare quelle visioni tanto care all’artista che, tra quelle nebbie è nato e vive.>>

Guido De Zordo

 


 

<<Quando Silvio Zago appunta su un suo quadro il nome di un luogo che l’ha ispirato non pensa tanto alla località, al sito, cioè alla realtà fisica del soggetto, diciamo pure alla geografia. Gli interessa di più, invece, il grado di emozione che gli ha trasmesso con i suoi colori, la sua atmosfera.

Detto in altro modo: è lo scenario in sé che lui ha scoperto e che ci invita a dividere dipingendolo.

E’ importante per un autore, ma anche per un fruitore, che l’opera diventi il ricordo di un sentimento scaturito dall’incontro con quella natura a cui Zago, fra l’altro, non per caso, ha dedicato un quadro dal titolo “Omaggio alla Natura”.

Quando il nostro artista torna al suo studio-laboratorio con le prime impressioni (schizzi, notazioni e soprattutto l’immagine mentale di ciò che ha visto nelle sue escursioni) il dipinto è praticamente nato lui e deve solo trasferirlo sulla tela.

Questo gli viene facile, perché Silvio è un istintivo, uno che coglie l’attimo e reagisce alla suggestione senza resistere a quella che un tempo si chiamava ispirazione. Ma non è un naif, è un pittore sicuro, un buon suggeritore, è come una scarica di corrente.

Però quell’energia va incanalata, filtrata dalla ragione, ed ecco allora l’impegno quotidiano al cavalletto; non lascia passare un giorno senza aver lottato con la “forma pittura”, per esigenze sue proprie – diciamo di stile – ma anche per rispetto dell’arte.

I suoi temi preferiti sono i paesaggi con tracce della presenza umana a volte suggerite,  a volte soltanto intuibili.

Comunque , lui sa perfettamente che il paesaggio non è soltanto una categoria figurativa, ma è lo scenario della nostra vita.

Il Delta del Po – lui è veneto di Cavarzere – lo affascina e lo chiama con la sua realtà anfibia, con quella luce riflessa dalle acque – luce doppia, quindi – che vibrando trasforma la struttura delle cose osservate, una grande luce che “si sfanta”, cioè si fa energia che sembra voler consumare la realtà fisica.

La sua tecnica – l’uso frequente e originale della spatola al posto del pennello – ci restituisce una realtà fatta di vibrazioni, pulsante, sensibile e perciò reattiva al tempo e agli umori umani.>>

Ivo Prandin

 


 

<<La sensibilità di Silvio Zago perlustra rive di sabbia e rugiada, vaga tra distese limacciose per poi perdersi, tra radure e cespugli, in un silenzio rotto solo da fruscii e richiami. Paesaggi bagnati dall’intima percezione della quiete, dai suoi sospiri che avanzano in mezzo ai fusti delle canne mosse dal vento, presenze sussurranti, eterne nel succedersi delle stagioni. Spogliata da ogni traccia umana, questa natura, allo stesso tempo, dolce e selvaggia diventa il luogo immaginativo ideale per l’animo schivo dell’artista.

Dell’uomo infatti restano solo emozioni, visioni sui battiti della natura, ritratti dell’invisibile con irruzioni minime di realtà, perché l’acqua, le barche, i casoni sono la realtà nella movenza del pennello, della spatola, l’adagio di una pastorale che sublima l’essenza del luogo.

Zago la porta dentro di sé, da essa nasce una correlazione invisibile con il respiro del fiume tradotta, poi, in segni riconoscibili.

Sprazzi di luce fermati su tela come pennellate improvvise, come trasposizione dei sentimenti, parlano di immagini ritrovate nell’odore salmastro dell’aria che coinvolge i sensi e la mente e procura sensazioni stranianti, rarefatte, oscillanti nel tempo sospeso. Lo splendore della tavolozza, i giochi tonali, la stesura dai passaggi infiniti vibra ai nostri occhi, e la quotidianità e la semplicità si vestono di nuova essenza.

Sottile e intenso, suggestivo e lirico, Zago compone una partitura ritmica, una sintesi di compenetrazione timbrica che conquista la scena dando forma ad una saturazione cromatica che a poco a poco si attenua in rarefazioni melodiche, in frammenti di nuvole sparse nel cielo dell’anima, in note di tenero deliquio evaporato da acque immobili e solitarie, nasce la poesia: petali giacenti sull’epidermide del fiume, un microcosmo di emozioni in perfetto equilibrio con la profondità dell’intera composizione.

Il quale vive nella visione e viceversa, dimensione aperta e fluida che stabilisce un legame tra il visibile e l’invisibile, tra le atmosfere immateriali,intime, quasi eteree, quasi spirituali, sublimate dal colore e dalla luce.>>

Antonella Iozzo

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